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Vasanta Panchami: il giorno della gloriosa Sarasvati

Il quinto giorno (pancami) di luna crescente del mese di Magha (gennaio-febbraio) si celebra la vasanta-pancami, una festa di primavera (vasanta) detta anche sri-pancami, dedicata al culto di Sarasvati, la dea della parola, della cultura e delle arti, rappresentata nell’atto di suonare il vina, che, in questa circostanza, viene adorata come Jagaddhatri, che significa nutrice del mondo.”(Piano, Sanatana Dharma p.262-267).
E’ la madre del suono, della musica e della parola.
Sarasvatī è venerata sin dall’epoca vedica come dea della conoscenza e delle arti, della letteratura, musica, pittura e poesia, ma anche della verità, del perdono, delle guarigioni e delle nascite; è spesso menzionata nel Rig Veda e nei Purāṇa come divinità fluviale.
Considerata per antonomasia “la luce” della conoscenza, Sarasvatī è l’ispirazione delle “parole veritiere” o anche della parola «che dà nutrimento» e che «risveglia le menti»(M.P.Karuna Devi, 2012, p. 457).
Per i Veda la “sacra parola” della conoscenza, rappresentata da Sarasvatī, si presenta sottoforma di suoni presenti vibrazionalmente nelle cose esistenti e percepiti ed identificati dagli antichi Ṛṣi. Essa è sintetizzata per antonomasia nella sua forma suprema e primordiale della famosa sillaba mistica Oṁ (il cosiddetto ‘praṇava’) che li sottende tutti.
Nell’epoca post-vedica, avendo perso il suo status di divinità fluviale, divenne Madre Divina e consorte di Brahmā il Creatore, elevando ulteriormente la sua simbologia, come personificazione di creatività e conoscenza, venerata non solo per la conoscenza del mondo, ma anche e soprattutto per quella del divino.
I fedeli che seguono l’insegnamento del Vedānta credono che solo attraverso la conoscenza sia possibile la realizzazione del Se o moksha, la liberazione dal Saṃsāra. Solo pregando Sarasvatī di concedere la vera conoscenza è possibile raggiungere l’illuminazione.
Gli inni del Rig Veda dedicati a Sarasvatī la citano come un possente fiume dalle acque creatrici, purificanti e nutrienti; la teoria più accreditata al riguardo è che questo antico fiume fosse costituito dal vecchio percorso dell’attuale fiume Yamuna.
Il mantra di Sarasvatī è il famoso “Sarasvatīgāyatrī”, ossia “OṀ Vāgdevyai vidmahe kāma-rājāya dhīmahi tanno devī pracodayāt OṀ”, che significa, orientativamente: “OṀ Conosciamo l’immagine divina (luce) della Parola (dei Veda, della conoscenza), meditiamo sul (nostro) desiderio regale (del conoscere) affinchè possiamo comprendere il suo corpo universale, OṀ”.
Chi lo recita o canta, entra in assonanza vibrazionale con l’armonia universale del creato. Ciò permette al recitante di individuare ed esprimere il proprio pensiero intuitivo che, secondo il pensiero indiano, è connesso al chakra (centro energetico) del discernimento intellettivo (il cosiddetto ‘terzo occhio’ posto in profondità, al centro tra le sopracciglia) e alla discriminazione (viveka) che lo caratterizza.
Come divinità fluviale Sarasvatī è sempre stata associata alla fertilità e alla prosperità, ma anche alla purezza.
Il Sarasvatī Stuti dichiara che la dea è l’unica ad essere venerata da tutti i tre elementi della trimurti, Brahmā, Viṣṇu, e Śiva, così come da tutti i deva, gli asura, i gandharva e i nāga.
Sarasvatī è vestita di bianco perché in India simboleggia la vera conoscenza e la trascendenza (è associata anche al giallo, colore dei fiori di senape, che sbocciano nel periodo delle sue festività). Non è adornata da gioielli e preziosi; è raffigurata con quattro braccia, che rappresentano l’ego, la mente, l’intelletto e la coscienza, ossia i quattro elementi di cui siamo costituiti e che utilizziamo nel bene e nel male per apprendere; è seduta vicino ad un fiume, che ne testimonia la sua origine e tutti i significati di cui abbiamo parlato in precedenza; ha in mano un japa–mālā (rosario di 108 grani), sempre di colore bianco, che rappresenta il potere della spiritualità e della meditazione, una vina (uno degli strumenti musicali indiani più antichi, chiamato anche sarasvatī vina), che rappresenta le arti, un libro (che rappresenta i Veda – l’universale, divina, eterna e vera conoscenza.) e, infine, un’apolla di acqua, che rappresenta la forza purificatrice e creatrice. Guardando la raffigurazione di Sarasvatī il devoto dovrebbe esercitare ed amplificare in se stesso le sue qualità, finalizzate appunto alla conoscenza metafisica.
Il suo veicolo (vaahan), è un cigno (o un’oca selvatica-hamsa) e rappresenta la “Sacra conoscenza” perché, secondo la ‘Tradizione’ vedantica, questo animale è in grado di separare il latte dall’acqua bevendo solo il latte quando sono mescolati insieme e gli vengono offerti, e dunque esso rappresenta la capacità discriminativa dell’intelletto di separare l’essenziale dall’apparente māyā (il velo cioè illusorio della realtà), il positivo dal negativo, l’avere dall’Essere.
Talvolta è seduta su un pavone, che rappresenta l’arroganza e la vanità; sedendo su di esso vince le apparenze.
In India i fedeli in questa giornata celebrano il ritorno della Primavera vestendosi di giallo e facendo volare numerosi aquiloni.

“Possano le costellazioni delle quattro direzioni proteggere la vita. Possano pacificarsi le paure insopportabili, i mali causati dagli influssi planetari, le paure che sorgono dal karma degli aggregati e i turbamenti causati dal costituente degli elementi”.

Fonti:

Unione Induista Italiana


https://it.wikipedia.org/wiki/Sarasvati
https://www.ilgiornaledelloyoga.it/sarasvati

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