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La barca di San Pietro: quali segreti nasconde la magica notte tra il 28 e il 29 giugno?

Quasi tutti i veneti, la notte fra il 28 e il 29 giugno, alla vigilia del giorno dei SS. Pietro e Paolo, seguono una strana tradizione. In una caraffa d’acqua trasparente versano una chiara d’uovo fresco e la lasciano all’aperto, sul davanzale di una finestra o in un giardino.
La mattina dopo, puntualmente, ogni anno, scoprono che la chiara si è coagulata in una forma che assomiglia a un vascello. Un chiaro riferimento alla barca usata dall’apostolo pescatore e traghettatore di anime per diffondere la fede oltre il mare.
I contadini, osservandola, traevano presagi sul clima e sull’andamento dei raccolti, altri ancora vi leggevano la sorte delle storie d’amore. Se le vele sono aperte è un ottimo segno: preannunciano fortuna e serenità, altrimenti vuol dire che tutto rimarrà com’è. Si narra che sia San Pietro stesso a modellarle in modo da lasciarci un messaggio…(clicca qui per interpretare il tuo veliero).
Il 29 giugno cade dopo il Solstizio estivo e la festa di San Giovanni, una sorta di capodanno d’estate, durante il quale anticamente si svolgevano numerosi riti necessari a ingraziarsi il Sole affinché donasse frutti in abbondanza.

Leggenda vuole che dieci giorni prima o dieci giorni dopo la festa dei Santi, la madre di  S.Pietro venga liberata dalla prigionia a cui è sottoposta per aver peccato di superbia. Una volta giunta nell’Aldilà infatti, disdegnando con fare altezzoso la fila di anime in attesa di giudizio, avrebbe preteso di varcare subito i cancelli del Paradiso. Il figlio la rimproverò ma ormai il danno era fatto e fu condannata a rimanere chiusa in una gabbia per l’eternità. Mosso da amore filiale, Pietro concesse alla madre un unico privilegio: uscire solo dieci giorni l’anno. Per niente ravveduta, la sciagurata, decise che avrebbe impiegato i suoi futuri “periodi di libertà” per provocare tempeste, mareggiate, allagamenti e distruzione sulla Terra.
Esistono molte varianti di questo racconto (leggi qui, qui e qui) ma si tratta di una storia che rispecchia le paure dei nostri avi in tutti quei momenti di passaggio fra una stagione e l’altra, quando i capricci della natura potevano decretare fame e carestie.

Mia nonna faceva puntualmente “il bizzarro rituale” della barca. Diceva: “se la barchetta si forma è di buon auspicio e significa che un’anima bisognosa di aiuto è salpata verso la luce del Paradiso. Devi sempre controllare che le anime degli antenati siano in pace”.

La forma assunta dalla chiara d’uovo è molto simile al pittogramma della lettera ebraica “Sin”.
Questa lettera trae proprio origine dalle linee della nave cosmica egizia che simboleggia “la grande corrente” di luce vitale, il cui giro eterno attorno all’universo è come un infinito cerchio.
Il dio del mare greco si chiamava Poseidone (dal greco fos-èidon) ossia “luce, immagine luminosa”.
La luce del Sole attraversa il mare dello spazio da un punto all’altro, come su una barca.
Allora può darsi che la notte del 28 giugno si creino le condizioni affinché l’universo ci mostri attraverso “il gioco della chiara”, che il Sole ha terminato il suo percorso ascendente e si appresta a decrescere sull’orizzonte.
Curioso che il ventunesimo arcano maggiore (21 come la posizione della lettera Sin nell’alfabeto ebraico) sia “Il Mondo” che, fra l’altro, indica la completezza di un ciclo di eventi e mostra una donna racchiusa in un ovale verde, talvolta un serpente che si morde la coda.

Un misterioso scritto sanscrito parla di un antico navigatore, un serpente (o un drago) che spinto dalla “grande corrente”, avanza sulla sua nave.
L’Uroboro, il grande serpente che si richiude su sé stesso mordendosi la coda, è il simbolo della vita che continua a rignerarsi.

Ogni notte, ripetendo l’esperimento dell’uovo, la forma assunta dalla chiara è diversa.

Sono fenomeni fluttuanti che si ripetono ciclicamente nell’unione di due sostanze di cui almeno una organica. Un’esperienza analoga è stata fatta da ricercatori americani che hanno voluto radiografare la piramide di Chefren.
Ogni giorno per tutti i 365 giorni, hanno potuto ottenere una radiografia diversa, fino a completare l’intero ciclo e a veder riapparire la stessa lastra di un anno prima solo nel giorno corrispondente. Sono messaggi dell’universo che stentiamo a comprendere. Ma le antiche popolazioni erano più sensibili a raccoglierli: avevano un rapporto diretto con la natura che permetteva loro di mettersi in sintonia con essa fino a compiere atti per noi inimmaginabili.

Dunque perché il martirio degli apostoli si ricorda in questa data?

La solennità dei santi Pietro e Paolo è il più antico esempio di trasfigurazione di una festa romana in festa cristiana. Secondo una tradizione plurisecolare avrebbero subito insieme il martirio il 29 giugno. La data è attestata sul più antico calendario liturgico la Depositio martyrum filocaliana, dove si fa risalire al 258 la festa celebrata nella località in Catacumbas, al terzo miglio della via Appia.
In realtà i due apostoli morirono in date e luoghi diversi: Pietro crocifisso a testa in basso nello stadio di Caracalla, Paolo decapitato perché era cittadino romano e non poteva subire la pena infamante della crocifissione.
Margherita Guarducci ha spiegato perché fu scelta la data del 29 giugno per ricordare il martirio degli apostoli.
Nell’antica Roma quel giorno si celebrava sul Quirinale, la festa di Quirino-Romolo e di Quirino-Sabino. Sicché la festa aveva la funzione di celebrare i gemelli ancora uniti nella fondazione di Roma. Lo dimostra un frammento di rilievo storico conservato nel museo delle Terme, che rappresenta Romolo e Remo assistiti da personaggi divini ed eroici mentre osservano il volo augurale degli avvoltoi che precedette la nascita di Roma sul Palatino.
I cristiani si ispirarono alla festa per trasfigurarla nella solennità dei due apostoli considerati i fondatori della nuova Roma.

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