Come potevo immaginare, che in un pomeriggio di settembre, arrivata al parco-museo, avrei letto in un cartellone: “Mostra sulle maschere e riti dei carnevali arcaici delle dolomiti”. Ho sentito un brivido percorrermi la spina dorsale. Tutto aveva cospirato affinché arrivassi lì, in quel momento, per ricollegarmi a quella realtà. A quelle montagne “magiche” vissute fin da piccina, che spalancano le porte ai mondi invisibili, per scoprire ancora una volta che i simboli, celano le chiavi per il risveglio di una coscienza universale, che lega tutti e rende tutti “più umani” anche popoli apparentemente lontanissimi. Le prove archeologiche, infatti, vedono la costante presenza delle maschere in tutte le culture arcaiche. Anche i carnevali dolomitici, mostrano una varietà di personaggi i cui caratteri provengono da tempi remoti. Sono sopravvissuti soprattutto grazie allo stato di relativo isolamento degli abitanti del bellunese, gente semplice, che lottava per sopravvivere, coesa e per questo profondamente legata alle tradizioni e ai riti che rappresentavano l’identità del gruppo. Parlare dei carnevali arcaici significa analizzare quelle maschere mitiche che nel periodo invernale accompagnano e incombono sull’umanità interagendo con essa per rappresentare il caos e la rigenerazione, l’annullamento del disordine che crea un ordine nuovo, una situazione primordiale in cui tutto ha la possibilità di realizzarsi.
La Maschera
La maschera ha una valenza sacro-magica. Le persone normalmente vengono identificate attraverso i lineamenti del volto ma la maschera impedisce questo riconoscimento, annullando la personalità del soggetto che la indossa. Diventa il “volto nuovo” di quel corpo e fornisce un’altra identità, rappresentando un pensiero diverso, che contempla l’incorporeo e le anime dei defunti. La maschera è dunque il mezzo materiale tramite cui l’anima può incontrare il soprannaturale. L’energia vitale è trasferita e liberata sulla “mascara” che supera il limite umano dialogando col sentimento comune.
Le maschere possono incarnare qualità astratte ed ecco che “scoviamo” i piccoli e grandi miti della tradizione popolare: dalla Redònega/Donacia, all’Om Selvarech, alla Caza Selvarega, dalla Procesion de Sant’Orsola a quelle de la Scola (dei morti), Anguane, Mazariol, Martorel, Salvanel, lumara / Prevenco / Trota (incubi notturni).
Il modo più comune per mascherare il volto durante il carnevale consisteva in una tintura col nerofumo ottenuta da un tappo di sughero abbrustolito o dalla fuliggine. Il nero evoca il mondo senza luce da cui provengono gli antenati. Farsi sporcare durante il carnevale era di buon auspicio e sottolineava la valenza sacro-magica della mascherata. Col tempo la gente sostituì la fuliggine pagana con quella cristiana del mercoledì delle ceneri…
Il modo più comune per mascherare il volto durante il carnevale consisteva in una tintura col nerofumo ottenuta da un tappo di sughero abbrustolito o dalla fuliggine. Il nero evoca il mondo senza luce da cui provengono gli antenati. Farsi sporcare durante il carnevale era di buon auspicio e sottolineava la valenza sacro-magica della mascherata. Col tempo la gente sostituì la fuliggine pagana con quella cristiana del mercoledì delle ceneri…
Fantastica! Ma sei passata anche per la Val di Zoldo? Io sono di lì
Ciao e buon proseguimento!
Eliana