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Perché la festa dei morti riguarda le nostre radici

Il tema della morte, nel lunario contadino e popolare, trova momenti ed espressioni molto precise e non poche usanze legate alla celebrazione dei morti sopravvivono ai nostri giorni, anche se è andato smarrito il loro significato.
La manifestazione calendariale si svolge nella festa dei morti del due novembre, ma anche il pupazzo bruciato sopra i brugnei, i falò delle varie ricorrenze stagionali, alcuni aspetti del Carnevale, la galzega dopo la mietitura, riflettono l’arcaico concetto della morte della natura e del suo risveglio, due momenti sui quali gli antichi modellavano i riti, i costumi e la stessa vita dell’uomo: morte e resurrezione; la vita di questo mondo e l’aldilà.
La credenza popolare sul valore magico dei numeri, rispecchiava questo ordine naturale: il due era l’espressione dell’uomo, composto di anima e corpo; il tre l’immagine di Dio, l’unità che si trasforma in Trinità, per cui il tre diventa il numero perfetto.
Nel culto dei morti della religione contadina, si confondono motivi pagani e cristiani, spesso difficilmente separabili tanto è l’intrinseco valore acquisito da un costume secolare di pratiche e di riti.
La constatazione che la terra (la Madre Terra) e i defunti che si trovano nel «suo seno» formano un insieme vitale, costituisce la prima ed elementare verità, su cui se ne sono sviluppate altre a livello di fede o di convinzioni. L’agricoltore scrive -B.L. Bogaevskij -così come ogni individuo dell’antichità, vedeva che la terra ricopriva con la sua superficie le piante e le seminagioni, che le conteneva dentro di sé e che le riversava all’esterno del suo grembo enorme. La terra […] inoltre […] conteneva le tombe dei morti i quali si preoccupavano delle piantagioni o delle seminagioni. Da tutto ciò risulta evidente che gli antichi greci ritenevano che i defunti, trovandosi sotto terra, potessero influire sui raccolti. Queste credenze dei greci e dei romani erano comuni anche ai popoli slavi (Propp).
Dai morti vengono i cibi (Ippocrate) e il dio dei morti, Plutone, coincide con il dio della ricchezza. Da qui, la necessità dei vivi di mantenere rapporti con i morti in modo da ottenere l’aiuto e la protezione, particolarmente importanti nelle date che segnano l’inizio delle varie stagioni dell’anno, al fine di assicurarsi un buon raccolto e garantirsi il futuro.
Anche nella tradizione cristiana, il culto dei morti è radicato all’idea di unità tra passato e futuro; la stessa Chiesa è costituita in corpo mistico, formato dalle anime dei viventi di questo «mondo» e le anime dei “trapassati” a una realtà diversa e immortale.
Così, tra vivi e morti si stabilisce uno scambio di aiuto vicendevole; i defunti possedevano la «grazia», la condizione spirituale di intercedere presso Dio a favore dei «poveri pellegrini sulla terra» e i viventi hanno il dovere di suffragare con riti religiosi (messe, indulgenze, giaculatorie) le Anime, in particolare quelle «purganti», in attesa di «vedere Dio in faccia». Se questo obbligo sussiste sempre, diventa impellente nell’ottavario dei morti, negli otto giorni che seguono la festa dei defunti. Il fatto che l’ottavario dei morti, il periodo della commemorazione, cada appena finite le semine del frumento, sottolinea la somiglianza tra i riti agricoli dell’antichità e la pratica cristiana.
L’uso rituale del «piatto dei morti», conservato nel costume popolare, esplicita la credenza nella vita e nell’immortalià che i morti acquisiscono «consumando i cibi rituali», inserendosi così nel ciclo naturale, vita (cibo), morte (assenza del cibo), vita (riassunzione del cibo).

Tratto da: “Mondo contadino” di Dino Coltro Arsenale Editrice.

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