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La festa del ritorno: come si onoravano i morti in Veneto

Il giorno dei morti rappresenta ancora oggi la «festa del ritorno». I figli e i parenti che si sono allontanati per lavoro oppure si sono formati il nucleo familiare lontano dal paese, tornano alla casa “vecia”, paterna. Il ritorno viene vissuto in due momenti.
Il primo, al cimitero, dove si accendeva “la candela de fameia” la candela di famiglia e si lasciava bruciare fino alla «benedizione del vespro».
Dopo la benedizione, il parente più stretto “la mare” la madre o la moglie, strappavano la candela dalla terra per portarla a casa, dove si accendeva nelle sere dell’ottavario sotto i ritratti dei defunti oppure in un “canton de la cusina o de drio del casson”.
La luce della candela figurava il «ritorno» del defunto tra i vivi e più la candela era grossa (la candela da morto era sempre grossa e lunga) meglio assicurava la durata della presenza nelle case delle Anime, entità ben distinte dagli Spiriti, considerati in genere «anime in pena».
Del resto, per la comunione tra viventi in questo mondo e nell’aldilà, i defunti potevano farsi sentire in qualsiasi momento con particolari rumori nella notte, apparire in sogno, chiedere messe di riparazione, oppure protezione e grazie. Bastava dire una messa e l’anima non disturbava piú.
Nella loro festa, i morti tornano, come vi tornano i vivi lontani, nella loro casa. E questo costituisce il secondo momento del ritorno alla casa paterna. Attorno alla tavola e al focolare si consumavano i cibi rituali, el brazadelon, i trandoti o pan dei morti, tipi di focaccia rustica, le faoline, le fave, le patate americane, dolci, con “el vin novo”, il vino nuovo. Al brazadelon ultimamente si erano sostituite le castagne e la zucca.
Accanto al piatto dei presenti, si preparava il «piatto dei morti» che veniva posto “sul casson” o sul focolare e lasciato a disposizione dei defunti invisita alla loro casa. Quella sera, anche se festiva, era assolutamente proibito dal «costume» recarsi dalla fidanzata, per rispetto dei morti. Ogni casa diventava sacra ai defunti e le famiglie riunite ripetevano l’antico rito “de la veia de i morti”, la veglia funebre. Durante la veglia si recitava il rosario con le litanie dei morti, che consisteva nel cambiare l’invocazione “ora pro nobis” con “ora pro eis”. Non mancava mai la preghiera “par le anime purganti e le anime bandonate”, abbandonate. Tra la recita del rosario e il culto dei morti esiste un legame molto stretto.
La stessa «religione» dei capitelli dedicati alle Anime Purganti si sviluppa parallela al culto dei capitelli dedicati alla Madonna, almeno fino a due secoli fa. La spiegazione può venire dalla trasformazione operata dalla Chiesa dei «lares compitales», i tabernacoli posti ai crocicchi, sulle crosare o sulle piazete.
Fin dai tempi di Augusto, ogni villaggio possedeva per editto imperiale un “compitum”, il capitello delle anime dei trapassati.
Questa radice arcaica del culto dei morti, si può riscontrare anche nel fatto che ai piedi della statua alla Vergine, oppure in un angolo del capitello, troviamo quasi sempre la cassetta delle elemosine per le Anime. La devozione alla Madonna e il culto dei morti appartengono ai riti stagionali, anche in senso cristiano.

Tratto da: “Mondo contadino” di Dino Coltro- Arsenale Editrice

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