Tra la recita del rosario e il culto dei morti esiste un legame molto stretto.
La stessa «religione» dei capitelli dedicati alle Anime Purganti si sviluppa parallela al culto dei capitelli dedicati alla Madonna, almeno fino a due secoli fa. La spiegazione può venire dalla trasformazione operata dalla Chiesa dei «lares compitales», i tabernacoli posti ai crocicchi, sulle crosare o sulle piazete.
Fin dai tempi di Augusto, ogni villaggio possedeva per editto imperiale un “compitum”, il capitello delle anime dei trapassati.
Questa radice arcaica del culto dei morti, si può riscontrare anche nel fatto che ai piedi della statua alla Vergine, oppure in un angolo del capitello, troviamo quasi sempre la cassetta delle elemosine per le Anime. La devozione alla Madonna e il culto dei morti appartengono ai riti stagionali, anche in senso cristiano.
Nei tempi paleocristiani, la festa di Ognissanti si celebrava il 13 marzo, sempre con l’intenzione di onorare quei santi e martiri che non avessero un giorno espressamente dedicato alla loro memoria.
L’antico rito romano celebrava «i morti» durante i lararia, il primo giorno di maggio.
Fu poi spostata al 1 novembre nel sec. VIII, allo scopo di rendere cristiane le celebrazioni pagane che ancora si tenevano in particolare nel nord Europa. Secondo l’antico calendario celtico, il primo novembre segnava l’inizio dell’anno nuovo e perciò la sera del 31 ottobre assumeva il carattere di una veglia del Capodanno in cui si mescolava la paura della fine dell’estate con la credenza del «ritorno» dei morti. Nei paesi anglosassoni la notte tra il 31 ottobre e 1 novembre è chiamata Halloween (All Hallows Eve, ossia Vigilia di tutti santi) e viene considerata «la notte delle streghe». Fino al 1700 nessuno si arrischiava per le strade; giravano soltanto i Guisers, i mascherati che passavano di porta in porta, danzando e cantando per tenere lontano il malocchio e le fatture. Sta di fatto che la sera dei santi nessuno usciva e le famiglie restavano in attesa del ritorno dei morti.
Essi uscivano dalle loro tombe appena dopo la benedizione e camminavano nelle piazze e strade deserte in processione, per celebrare la loro festa: si chiavama la procession dei morti.
La famiglia raccolta attorno al focolare parlava della vita dei parenti defunti, consumava i cibi rituali e se un bambino disturbava o si metteva a piangere veniva fatto tacere con la frase: “Tasi che passa i santi”, oppure “Tasi che passa i morti”. Per questo, i morti devono essere seppelliti con l’abito migliore, perché con quel vestito partecipano alla festa della notte del 2 novembre e, secondo il costume contadino, in processione si va col vestito da festa. Gian Domenico Bernoni raccolse, nel secolo scorso, la favola della madre avara che seppellì la sua bambina morta con un vestito vecchio. Ad ogni ricorrenza della festa dei morti, la bambina in lacrime ricompariva davanti alla madre e la rimproverava di averla fatta vergognare davanti agli altri morti, perché col suo vestito logoro non poteva partecipare alla processione.
C’è un particolare che avvicina il costume anglosassone al nostro: è la stretta analogia tra la «lanterna di Halloween» con cui giocano i ragazzi in Inghilterra, negli Stati Uniti e anche in Australia e la lumera (lumaza) dei nostri paesi. Il fuoco fatuo rappresenta l’anima di un defunto in cerca di suffragio e costituisce anche un gioco fatto dai giovani fino a qualche decennio fa, proprio nell’ottavario dei morti. La “lanterna di Halloween” come la lumera consiste in una zucca svuotata, nella cui buccia vengono praticati dei fori per fare gli occhi, il naso e la bocca ghignante. All’interno di questa specie di teschio veniva collocata una candela accesa e i ragazzi la portavano in giro schiamazzando.
Tratto da: “Mondo contadino” di Dino Coltro- Arsenale Editrice