Fava

Simbologia planetaria: Saturno- Luna- Mercurio

Nell’antichità le fave erano considerate un alimento impuro: lo stelo privo di nodi le rendeva un mezzo di comunicazione privilegiato fra l’Ade e il mondo degli uomini. Mangiarle avrebbe provocato visioni e incubImmagine_9_11i. In Grecia, nel mese delle semine dei cereali, si celebrava una festa delle fave detta “Pyanopsia” che evocava il primo atto sacrificale di un essere divino. Questo spiega la loro presenza nei riti funebri in Grecia, Egitto, Italia (Roma), India, Perù. 
Nella tradizione romana le fave erano presenti sia nei riti funebri che propiziatori.
Nell’agricoltura precerealicola erano considerate uno strumento oracolare e un talismano: la notte di san Giovanni le giovani svolgevano dei riti con le fave per conoscere il futuro.
Nella festa delle “Kalendae fabariae” (le Calende delle fave), che cadeva il 1° giugno, il legume era al centro di un rito in onore della dea Carna, epifania della Grande Madre, che tutelava i cardini degli usci. Siccome la Grande Madre dona la vita ma raccoglie anche i resti dei propri figli è normale che le piante e gli animali ad essa consacrati abbiano una duplice valenza, di vita e di morte. In epoca storica c’era l’usanza di gettare le fave nelle tombe. Si consumavano anche in occasione del “silicernium” il pasto funebre. Ancora oggi a Venezia, nel giorno della Commemorazione dei 272_0defunti, si mangiano dolcetti fatti con pasta di mandorle -bianchi e a forma di fava- dette  “fave dei morti“.
Le fave si mangiavano anche durante i “Feralia“, il giorno conclusivo dei Parentalia in cui si commemoravano gli antenati: in onore della dea Tacita Muta si deponevano tre granelli d’incenso sotto la porta di casa; si facevano girare attorno ad un fuso a forma di rombo dei fili incantati e si rigiravano in bocca sette fave nere.
Dall’unione fra Mercurio e Tacita Muta nacquero i Lari che avevano il compito di vegliare sui crocicchi e sulle case. Questa dea misteriosa governava i culti funebri ed era connessa al periodo calendariale che alla fine di febbraio segnava il passaggio dal vecchio al nuovo anno.
Le fave nere erano impiegate nei riti per placare l’ira degli Spiriti, durante i tre giorni dispari compresi fra le none (7) e le idi (15) di maggio, detti “Lemuria“, da lemures, gli spettri che in quel periodo invadevano il mondo dei vivi: ombre vaganti di uomini morti anzi tempo di cui si doveva avere timore.

La Fava e l’Epifania
indexIn Francia il giorno dell’Epifania chi trova la fava nascosta all’interno di una focaccia (galette des rois) diventa simbolicamente re. A sua volta il re nomina una regina gettando la fava nel bicchiere della donna scelta. Ecco perché l’espressione “trovare la fava nel dolce” significa fare una scoperta importante. Secondo una tradizione che risale ai pitagorici la fava sarebbe il simbolo dell’incessante ciclo di vita e di morte nella caverna cosmica. Pitagora scrisse che mangiar fave “signifca dividere il cibo dei morti, mantenersi nel ciclo delle metensomatosi e piegarsi alle forze della materia”.

 

Usatele per: fare offerte ai defunti, trovare l’amore (dovrete fare 7 volte il giro di una chiesa con un pugno di fave nella mano sinistra e poi gettarle in un ruscello). Per far avverare un desiderio bisogna scriverlo su un foglio e accartocciarlo attorno ad una fava. Seppellite il tutto e se la pianta spunterà, anche il vostro desiderio sarà esaudito. Amplificare il potere sessuale (ricordano gli organi genitali). Allontanare la tristezza (infuso delle sommità fiorite). Un piatto di fave, ricco di manganese sosterrà il buonumore.

Ovidio riportò questo rito per scongiurare il ritorno dei defunti:

” A mezzanotte quando il silenzio invita al sonno,
e voi tacete, cani e uccelli variopinti,
chi l’antico rito rammenta e timore ha degli dei
balza dal letto senza sandali ai piedi
e le dita fa schioccare unendo il pollice al medio
per non incontrare ombra vana mentre tace.
Purifica le mani nella corrente di fonte,
si volge e prende in bocca nere fave;
poi le getta all’indietro dicendo:
le getto e con queste fave me e i miei parenti redimo.
Nove volte lo dice né indietro si volge. Si crede che
l’ombra le raccolga seguendolo senza essere vista.
Di nuovo egli si purifica con l’acqua,
batte recipienti di bronzo e prega
che quell’ombra dalla casa esca.
Uscite, Mani paterni! per nove volte ripete:
si volta e crede il rito compiuto con purezza.”

Bibliografia:
Florario di Alfredo Cattabiani

 

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