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Le fave dei morti

804850952.2Un giovanotto assai ingenuo di nome Candido, figlio di un calafato che lavorava vicino all’Arsenale, si era imbarcato come marinaio su una nave mercantile che toccò molti porti della Grecia e dell’Oriente e che dopo un anno di navigazione faceva finalmente rotta verso l’Adriatico.
Egli era partito con l’intenzione di guadagnare un po’ di denaro e sposare Lucia, di cui era molto innamorato; quella ragazza abitava in un paese dell’entroterra, essendo figlia d onesti contadini.
Quando la nave fece scalo a Salonicco per rifornirsi di olio e di vino il nostro marinaio scese in permesso a terra e desiderando di fare un regalo alla morosa, incuriosito dalla forma e dalla lucentezza delle fave (che lui poco pratico di coltivazioni vedeva per la prima volta), scambiandole per qualche sorta di perla o pietra preziosa ne acquistò una misura che custodì con molta attenzione all’interno di un cofanetto di legno di sandalo dorato, poichè pensava di possedere una merce esotica e preziosa. Aveva potuto osservare infatti come molte splendide ragazze e anche alcuni ragazzi di quella lontana regione amavano adornarsi con collane composte da quegli strani semi color avorio, che risaltavano sulla carnagione scura degli indigeni come pietre preziose. Come alla fine del lungo viaggio la sua nave attraccò al pontile di San Marco, il giovanotto si industriò per raggiungere il paese della sua promessa sposa e dopo così sofferta lontananza (era fave-secche-ammollatel’alba della festa di Ognissanti) poté rivedere la sua novissa in casa dei futuri suoceri.
Naturalmente Candido fu subito al centro dell’attenzione, non soltanto come promesso sposo, godeva di un riguardo particolare, ma soprattutto perchè la buona gente convenuta dal vicinato per salutarlo e constatarne la buona salute era rosa dalla curiosità di sentir narrare le sue avventure di marinaio e ancor più scoprire i regali che egli aveva portato dal favoloso Oriente, e che teneva chiusi dentro una capace secca.
“Ebbene siora mama” disse Candido rivolgendosi alla padrona di casa, “pensando a voi e desiderando che facciate buona figura quando vi recate in città, vi ho portato questo profumo assai ricercato che ho acquistato nei fondachi del Mare di Cipro”. E le consegnò una boccetta di vetro di foggia assai inconsueta, con un tappo d’avorio finemente arabescato. “Per voi sior paron” proseguì il giovane, “ho preso una fibbia d’argento che renderà preziosa la cinta delle vostre braghesse e farà di voi un uomo molto elegante”. E così procedendo per tutti i parenti della morosa provvide un qualche dono che testimoniava del suo affetto e della sua cortesia.
Venne tuttavia il grande momento, quando Candido disse “e ora, poichè la lontananza non ha fatto che aumentare il mio affetto per la diletta Lucia, per lei ho acquistato un certo numero di perle di misura straorfave dei morti dolcidinaria e dalla forma esotica che ho trasportato fin qui dalla patria di Omero. Ella potrà farsene una collana e adornarsene il bellissimo collo, ad imitazione delle divinità orientali perchè non ho trovato in tutti i porti che ho toccato una merce più strana e preziosa“. Con mani tremanti e visibilmente commossa, la ragazza aprì il cofanetto di legno dorato e sotto lo sguardo attentissimo dei congiunti prese una manciata di…FAVE, naturalmente. Queste, avendo viaggiato in quell’angusto spazio e per un lungo tragitto, si presentarono flaccide e puzzolenti, al punto che la povera Lucia lasciò cadere per terra anche il cofanetto. Figuratevi la faccia di tutti i presenti…ci volle del bello e del buono perchè Candido rendesse ragione di quell’orribile scherzo, che tal non era perchè non ne aveva avuto affatto l’intenzione. Quando comprese di essersi fatto turlupinare a causa della sua ignoranza dei prodotti agricoli, non gli restò che rimediare, promettendo di fare appena possibile, un regalo più gradevole alla povera Lucia, che comunque si consolò.
Al sopraggiungere della sera, benchè fosse la vigilia dei defunti, tutti quelli che erano stati testimoni della pessima figura di Candido e della delusione di Lucia, si ritrovarono a casa di lei intorno al filò. In quella occasione, dopo aver chiesto perdono per l’ennesima volta alla morosa e ai suoi genitori, Candido ripresentò alla fidanzata il prezioso cofanetto accuratamente ripulito; quando essa lo aperse per la seconda vola, lo trovò pieno di dolcetti squisiti, che l’innamorato aveva commissionato appositamente e aveva voluto che fossero fatti in forma di fave, in ricordo della sua disavventura.
E’ da quel tempo che i nostri bravi giovanotti usano regalare alle loro morose, la sera di Ognissanti, le fave dei morti, come pegno d’amore e augurio di lunga vita.
 
Nota golosa :
 Le fave dei morti o “ossi de morto“, sono dolci tipici Veneziani. Se volete provare, vi lascio la ricetta…parola di golosa, sono tra i miei “spatroci” preferiti!.
 
Ingredienti
Per circa 25 biscotti
3 albumi, 200 gr mandorle pelate, 200 gr zucchero, 1 fialetta di aroma di mandorla, zucchero per decorare.
 
Tritare al mixer le mandorle unite allo zucchero fino ad ottenere una sorta di farina. Trasferire in una ciotola, aggiungere l’essenza di mandorla ed amalgamare.
Montare gli albumi con un pizzico di sale a neve ben soda ed incorporarli alla farina di mandorle e zucchero (aggiungere gli albumi lentamente, fino ad ottenere un composto sodo da poter lavorare con le mani, avanzerà un pò di albume).
Prelevare delle piccole quantità di composto, formare delle palline e disporle ben distanziate sulla lastra del forno rivestita con carta forno (si dovranno fare due infornate per poter adagiare ben distanti le palline). Terminare ricoprendo ogni pallina con un pò di zucchero.
Cuocere in forno già caldo a 150-160° (statico) per pochi minuti (8-12). I biscotti saranno pronti quando avranno il bordo leggermente dorato e la superficie screpolata, devono risultare comunque bianchi.
Sfornare e far raffreddare. La superficie dovrà essere TIPICAMENTE screpolata!
 
Bibliografia:
Leggende venete di Bruno Lorenzon
 
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