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La Scarzuola

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Il nome “Scarzuola” deriva da “scarza“, un’erba con cui San Francesco costruì una capanna in Umbria a Montegabbione. Accanto vi piantò un alloro e delle rose facendone scaturire una sorgente d’acqua, tutt’oggi presente. Mezzo secolo dopo, al posto della capanna, Nerio di Bulgaruccio dei conti di Montegiove fece erigere una chiesa denominata della “Scarzuola” e affidata ai frati Minori, che a ridosso costruirono un convento. Sul finire del 1700 la proprietà passò ai marchesi Misciattelli di Orvieto, che nel 1956 la cedettero a Buzzi. La chiesa restaurata e arredata da Marco Solari contiene affreschi (a partire dal XIII sec.) di notevole importanza storica, raffiguranti  fra l’altro S. Francesco mentre levita. Ma non solo;  all’ingresso del convento, poggiata al muro si può osservare proprio un’antica porta in legno raffigurante il Santo nelle vesti di “giullare“. Nei Tarocchi, l’arcano del “Matto” è l’unico a non avere un numero, né doppio, a rappresentare la sua esistenza  fuori dallo spazio-tempo che gli permette di colorare e musicare il mondo attorno a sé. Il suo vestito è pieno di campanelli: si tratta dei pianeti che ruotando creano le vibrazioni. Anche noi siamo giullari, viviamo nel presente senonché  una volta venuti al mondo siamo stati incanalati nel sistema “carte” e dotati d’una sorta di nuovo “hardware”, a noi estraneo. A questo punto si aprono due opzioni: restare schiavi del computer oppure conoscere i meccanismi del pc, sabotarli e iniziare ad usare i nostri. Il nostro “hardware” è diverso da quello che ci hanno “installato” dopo, quello delle carte (o archetipi). Le carte vivono nel duale, non possono “colorare” essendo legate alla geometria euclidea, allo spazio-tempo e nemmeno “muoversi” se non con schemi rigidi. Vivono nel passato e nel futuro, non hanno nascita o morte.
Nel 1957 l’architetto e artista Tommaso Buzzi compra la Scarzuola e decide di tornare “Giullare”, di uscire seppur interiormente dallo “spazio-tempo”. Trovato il luogo adatto, l’artista inizia a costruire tutti i giorni, nel presente, per vent’anni: essendo imprigionato in un corpo, nella materia, avverte il bisogno di concretizzare nella realtà le sue idee e i suoi pensieri e trova “le soluzioni per farlo”. Inserisce nel giardino una scultura rappresentante “un occhio alato“, traendo ispirazione da una medaglia che il bronzista Matteo De Pasti realizzò per il Leon Battista Alberti. Perché un occhio alato? Perché il vero artista è colui che viaggia nel c.d. futuro e porta nel presente ciò che ha visto. E se le persone non possono comprendere ciò che osservano…devono decriptarlo. In realtà l’artista si ispira “all’eterna situazione“: cosa mette in moto il presente se non il divenire continuo?
Dopo una prima visita al convento, si arriva ad una fontana: al centro sorgono un leone e una clessidra: l’acqua è l’unico elemento in grado di trattenere le memorie (ecco perché conserviamo in boccette quelle dei luoghi in cui ci sono state delle apparizioni). Ne bastano poche gocce per rievocare la sacralità di una situazione iniziale. Anche noi siamo composti d’acqua e l’acqua stessa è un unico essere nell’universo: se continueremo ad inquinarla, anche emotivamente (odio, guerre…) cosa accadrà?
Buzzi compra la Scarzuola proprio perché è un luogo dall’energia femminile (infatti la chiesa si chiama Santa Maria della Scarzuola) in cui non esiste il tempo, c’è massimo disordine e massima fantasia. L’acqua rievoca la Creazione, il principio femminile. Papa Luciani, non a caso affermò che “Dio è più madre che padre”, scardinando i dogmi dell’epoca.
Per costruire la sua città ideale Buzzi si rifà ad un testo, l’ Hypnerotomachia Poliphili  che ispirò la  costruzione di giardini alchemici anche a Roma, Viterbo e Firenze. Uno dei messaggi fondamentali dell’opera è che l’uomo è l’artefice del suo destino. Questo testo diede origini a quattro cose molto importanti:
-la musica jazz, che si rifà a quella dell’epoca romana e quindi ai suoni della natura;
-il ruinismo, ossia la rovina come epoca mitica di una civiltà che è vissuta in una situazione culturale più elevata rispetto alla nostra e raggiungerà il suo apice nel ‘700 nel “Grand Tour”;
-la teoria degli Archetipi di Jung;
-i Giardini Rinascimentali, “case senza tetto” e prive di fiori dai quali si deve cercare di uscire, ben diversi dai giardini inglesi.
L’ Hypnerotomachia Poliphili ha ispirato anche i “mostri di Bomarzo” ma cerchiamo di capirne il motivo. Questo romanzo, racconta di un lunghissimo sogno, durante il quale vengono lenite le pene d’amore di Polifilo per Polia che ha perso la vita, analogamente a quanto accaduto al Principe Orsini, vedovo dell’amata sposa Giulia Farnese. Per ricongiungersi alla sua “anima“, la sua parte complementare femminile, Polifilo affronterà “i mostri”. Si tratta quindi di un viaggio iniziatico che ha per tema centrale la ricerca della donna amata, metafora di una trasformazione interiore alla ricerca dell’amore “totale”. Dai sogni carnali si giungerà all’estasi. Nel sogno vi sono tre porte, le tre principali possibilità offerte dalla vita:
Gloria Mundi, gli “involucri” o condizionamenti dell’io;
Gloria Dei, gli “involucri” spirituali (chiese, sette, gruppi etc.);
Mater Amoris, la via dell’Amore, che implica la liberazione dai condizionamenti e la loro sostituzione con ciò che sceglieremo dopo un percorso interiore. Questa metafora è ben spiegata nella casa/torre inclinata di Bomarzo: la via dell’Amore cambia completamente prospettiva, perché è interna e non esterna! In questo continuo gioco di “costruzione e distruzione“, la terza via è quella del sogno in cui “tutto è”.
Nel sogno nessuno giudica, il bene ed il male risultano solo un’illusione. Nel libro, alla fine della via “Mater Amoris” si trova una barca, il cui nocchiere è Cupido che condurrà i protagonisti oltre le Colonne d’Ercole, dove incontreranno i mostri (la parte inconscia) e una volta “domati” approderanno all’isola di Citera, accolti da Venere che nel suo Tempio svelerà la parte mancante, ovvero il, l’Amore che non c’è nella “bipolarità” Mundi/Dei . Davanti a queste tre porte il Leone sovrastato dalla clessidra indica il tempo: a Bomarzo c’è la tartaruga, Cronos, che scorre lentamente. Sopra la tartaruga si trova una donna alata a rappresentare la “Ione”, l’infinito (l’otto) al cui interno c’è il nostro spirito che vede tutto simultaneamente, da qui gli “opposite” il due. Platone ci parla dell’ Aevum, l’esistenza vissuta dagli angeli e dai santi. In un certo senso, è uno stato che si trova tra l’eternità (atemporalità) di Dio e l’esperienza temporale degli esseri materiali. A volte è indicato come “l’eterno improprio“. La parola Aevum in latino, significa “età”, “eone”, o “tempo eterno”. Metaforicamente l’Aevum sarebbe come una sorta “d’ufficio” in cui la nostra anima e ha due “televisori” uno che vede lento e uno veloce. Chiaro che se siamo continuamente assorbiti dai i nostri “involucri esterni” (lavoro, impegni etc.), l’anima non può esprimere la sua voce. Quindi l’anima “invierà” incidenti e malattie per interrompere questo processo e stimolare l’introspezione. Nel momento in cui ci si trova ad affrontare tali crisi, significa che ci è data la possibilità di esplorare la “Mater Amoris“. Buzzi realizza il percorso dell’anima inserendo sette spazi teatrali da esplorare in senso antiorario. La prima parte è buia: addentrandoci in noi stessi troviamo il buio (e i mostri), poiché non ci conosciamo. Buzzi nella via dell’anima non può fare l’architetto adeguandosi al fascismo. Nella realizzazione della Scarzuola usa la prospettiva, il mondo della scenografia teatrale, il più vicino a quello dell’anima poiché “tutto si fonde” come in un sogno. Nella scenografia tutto esiste allo stesso tempo, è il divenire, l’eterno presente che non ha tempo; tutto nasce e poi si dissolve, continuamente. Il primo teatro che si incontra è dedicato a Vincenzo Palladio; è a scena fissa e ha la forma di una nave. Si possono notare numerose api, sulle mura esterne, a simboleggiare la laboriosità e la destrezza dell’architetto (sono insetti costruttori). Tale vascello, nella poppa, richiama la Scala di Milano, poiché Buzzi lavorava ai suoi progetti di architettura ispirato dalla musica.
E noi, quando inizieremo a percepire la musica? Nel momento in cui andremo a conoscere i mostri a Bomarzo, (la parte ctonia, sotterranea, nascosta) e riusciremo ad ammansirli all’interno del labirinto (Chartres). Solo così si aprirà il terz’occhio e riusciremo ad ascoltare la celestiale musica dell’universo. Nel realizzare l’occhio e le orecchie del teatro, Buzzi si ispirò sia all’Arcimboldo (muse) che a  Hieronymus Bosch, artisti visionari. Vi è una stratificazione” a tre cassetti” della città ideale: nel primo cassetto c’è la materia, le rocce e le carceri. Entrandoci bisogna prestare attenzione: sei in grado di sorreggere tutte le forze ctonie che cercano di trascinarti verso il basso? Non a caso la “Terza via” è la più rischiosa in quanto il processo che porta all’Amore implica che si debba prima scavare dentro di sé, per poi dare amore agli altri; se l’umanità non imparerà a guardarsi dentro, resterà sempre imprigionata nelle stratificazioni esterne, senza trovare pace. Nel secondo cassetto della città ideale ci sono i palazzi per i nobili e gli artigiani mentre nel terzo, si arriva nella piazza principale con tutte le sue meraviglie (Arco del Trionfo, Piramide, Torre dei venti ecc.) ideata per l’anima. Piazza che sarebbe dovuta essere distrutta, affinché la natura se ne riappropriasse. Nel libro Hypnerotomachia Poliphili, l’isola di Citera viene descritta come un luogo in cui la differenza fra la natura e l’artifizio umano è incomprensibile poiché sogno e realtà sono compenetrate, senza dualismi. La scultura di Pegaso, che sovrasta il teatro, ci pone al centro di una riflessione sui 4 elementi: come Vitruvio, era a contatto con la terra (quadrato) ma poteva volare anche sino agli dei (cerchio). Questo significa che solo lavorando nella quotidianità e assistendo i bisogni corporali propri dell’uomo, ci è data la possibilità di scrutare “oltre”. La materia dev’essere esplorata e il sogno vissuto nella quotidianità. Lungo il cammino, arriviamo alla Torre del Tempo; anticamente si credeva che nella Terra e dentro il nostro stesso essere vi fosse un cristallo e tale pietra andasse trovata, ripulita e nascosta affinché gli altri non la sporcassero. Buzzi nasconde la sua, circondandola di mura e 7 porte. Nella Torre vediamo un orologio: se da una parte c’è il tempo dall’altra troveremo l’anti-tempo. Anche la materia ha bisogno dell’antimateria per “muoversi”. Solo i folli possono trasferire l’antimateria nella materia e pochi sono quelli che riescono  a creare “movimento” (poiché una volta fissata la materia difficilmente si smuoverà). Perciò, dal punto di vista di  Buzzi l’unica cosa che può motivare il contatto con la natura è il ruinismo, poiché è in divenire continuo. Passata la Torre, si giunge alla polena sulla prua della “Nave”, Madre Terra, che Buzzi realizza senza testa (la Terra arriva prima del Sapiens e vive nell’Uno) e sovradimensionata (nel sogno non ci sono proporzioni): è la guardiana di due porte, ossia quella della scienza e della tecnica e quella dell’arte e della fantasia. Perché due porte? La Natura è un libro aperto solo per chi lo sa leggere. Madre Terra inoltre ha un cuore “magmatico” dal quale fuoriesce fuoco, a significare che la vita ci chiede di infiammare il “cuore” e  ritrovare noi stessi attraverso un processo interiore (la stessa simbologia si ritrova nel S. Cuore di Gesù). Oggi viviamo in una società capitalistica, dove si accumulano sempre più oggetti ma l’anima chiede di essere ascoltata. Lungo il percorso troviamo quindi rilievi di fiori (sensi) e stelle (anima), per poi essere inghiottiti e “sputati” da una balena: si tratta della morte iniziatica, in cui vengono messi alla prova i sensi , al fine di scorgere la vera realtà, quella che si può raggiungere stimolando alcune aree inutilizzate del cervello concentrando i propri campi energetici (gli egizi lo facevano attraverso i sarcofagi, i massoni entrando in una bara). Dopo aver visto “oltre”, questa metamorfosi porta ad una rinascita. Si giunge ad un grande cipresso bruciato a causa di un fulmine (agosto ’70), a simboleggiare le memorie del passato che ci permettono di uscire dalla caverna. Prima dei tre anni si è uniti, integri, ciò che facciamo non viene giudicato ma crescendo entriamo nel dualismo del mondo. Come si può uscire dalla “caverna”? Buzzi suggeriva di frammentare il passato, come faceva Fontana nelle tele: solo rendendo il passato in frammenti e aggiungendo la fantasia, si crea il presente (e si può superare il trauma). Il cipresso segna anche le ore nel Tempio di Apollo. Uscire dalla caverna più in generale, significa rifiutare tutte quelle distrazioni che il mondo ci offre  a favore dell’unione con noi stessi (12 fatiche d’ Ercole= tornare all’UNO): siamo un unico essere diviso in tante parti e l’energia che più “riunisce” è quella sessuale. La salita fra le colonne indica simbolicamente la possibilità di avere una visione più illuminata “del tutto”, dopo essersi “ricompattati” e aver meglio compreso “il sistema” nel quale ci ritroviamo. Lasciate le colonne, vediamo “i Sacri Monti” c.d. “Gioco dell’Oca“, percorsi iniziatici a spirale con le stazioni della Via Crucis. Giungiamo alla Torre di Babele: quando ci consideriamo re, papi e imperatori di noi stessi, la grande energia dell’Universo, Dio, può entrare in noi, come una spirale. Il cono di vetro all’interno della Torre, rappresenta la “Kundalini”, l’energia che una volta liberata si farà “anima”. Così si conclude il viaggio alla Scarzuola, nel mistero dei giardini rinascimentali in cui gli opposti si riuniscono, dando voce al Sé.

Per approfondire:
La Scarzuola di Buzzi: Lettere, appunti, pensieri

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